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La Sindone di Torino dal punto di vista della física, parte 3



Dopo un mese senza poterlo pubblicare, terminiamo l'articolo di M. Carreira. È importante contemplare e studiare la Sindone dal punto di vista fisico per evitare ambiguità. È anche interessante vedere come, con il passare del tempo, le conoscenze progrediscano e si affinino. Un esempio è la questione delle monete, che viene accettata più come pareidolia che come realtà. Scritto nel 1998, questo articolo ci permette di vedere i progressi fatti e continua a fornirci vie di conoscenza e ad aprire nuove strade.








2.3. Processi non artificiali

Dopo aver considerato i modi artificiali di produrre l'immagine sindonica, dobbiamo analizzare criticamente le possibilità di altri processi che non dipendono dalla tecnica umana. Il più naturale, proposto quasi come ovvio da un secolo, è il contatto di un corpo con la tela in modo tale che le macchie risultanti formino automaticamente un'immagine dell'intera superficie del corpo. Poiché la tela era un unico pezzo che avvolgeva il cadavere dalla testa ai piedi, l'immagine dorsale e frontale si troveranno in perfetta concordanza. La presenza di macchie di sangue è una chiara indicazione di questo contatto, e spiega anche perché il sangue stesso impedisce la formazione di macchie sulla tela da esso ricoperta.


Coloro che non accettano l'autenticità della Sindone come reliquia dell'epoca di Gesù arrivano a ipotizzare, soprattutto dopo la datazione del C14, l'identità di un cadavere medievale utilizzato per ottenere una reliquia fraudolenta. Anche su questa ipotesi, si ammette che l'immagine, con tutti i caratteri che l'accompagnano, è dovuta al fatto che la tela avvolgeva effettivamente un corpo umano, di un uomo sottoposto a tutte le torture descritte nei Vangeli: non è un dipinto. Naturalmente, la scienza sperimentale non può fornire una prova fisica o chimica dell'identità della persona: può e deve solo analizzare il processo suggerito alla tela per mostrarci ciò che osserviamo su di essa.


A prima vista si può ipotizzare che i fluidi o i gas emanati da un cadavere ricoperto di sangue e sudore, magari reagendo con i profumi e le resine utilizzate nel modo ebraico di avvolgere il corpo, possano dare origine a macchie deboli e diffuse, oppure più distinte e marcate, a seconda della distanza del telo dalle varie parti del corpo. Se il telo cade semplicemente sul cadavere, invece di avvolgerlo lateralmente, è anche logico che non ci sia un'immagine dei lati. Si può pensare che non ci sia pigmento nelle fibre, ma una colorazione molto tenue, quasi invisibile se non come macchia generale se osservata a una distanza sufficiente. Tutto ciò ha, senza dubbio, molto a favore se confrontato con la descrizione della Sindone di Torino.


Poiché questa ipotesi è sostanzialmente plausibile e per il suo potere esplicativo, la "vaporigrafia", già proposta dal dottor Vignon all'inizio del secolo13 , ha ancora molti seguaci. Ma uno studio più approfondito mostra la sua inadeguatezza e persino la sua incongruenza con i fatti da spiegare.


Se l'immagine è dovuta a un contatto più o meno intimo, è prevedibile che l'immagine dorsale, del corpo che pesa sul telo, sia molto più chiara e di maggiore intensità di quella frontale, che è prodotta solo dal peso del telo sul corpo. Nell'immagine torinese non c'è alcuna differenza di intensità o di dettaglio tra i due lati, il che ha portato alcuni studiosi a sostenere che il corpo stesse levitando sopra la Sindone. Non è necessario ricorrere a questa ipotesi se abbiamo altri motivi per rifiutare la spiegazione proposta, e questo è il caso.


Osservando le fibre al microscopio, la penetrazione, per diffusione o capillarità, che ci si dovrebbe aspettare quando un liquido o un gas viene a contatto con il telo, è totalmente assente. È solo sulla superficie più esterna di ogni fibrilla che si riscontra la colorazione dell'immagine, come già ripetutamente indicato.


Supponendo un contatto nelle aree in cui è presente l'immagine, è necessario spiegare perché non si verifichi alcuna distorsione, soprattutto sul viso. Se si applica un panno in modo da marcare le guance, le aree laterali della fronte, il collo sotto il mento, quando il panno viene poi appoggiato su un piano, si dovrebbe verificare un evidente allargamento dell'immagine. Questo effetto non si osserva. Manca anche l'immagine corrispondente alla sommità del capo: manca l'atteso collegamento tra l'immagine frontale e quella dorsale, nonostante la tela sia continua su tutto il corpo. Non c'è nemmeno un'immagine laterale sui fianchi, ma ci sono macchie di sangue, soprattutto sul gomito sinistro, che devono essere causate dal contatto laterale con la tela.


Ancora una volta è necessario sottolineare il carattere non organico delle macchie, che non cambiano colore nemmeno nelle immediate vicinanze delle grandi bruciature dell'incendio del 1532, e che hanno una riflettanza spettrale più simile alle bruciature e non a un composto chimico sovrapposto alla cellulosa. Infine, non è possibile ottenere la finezza dei dettagli, che si riscontra soprattutto nell'immagine della moneta, attraverso alcun tipo di diffusione di agenti che si disperdono in tutte le direzioni tra il corpo e la tela.


L'archeologia di secoli ha portato nei nostri musei un gran numero di mummie di varie culture, con tele di ogni tipo a contatto con i cadaveri ricoperte di agenti la cui attività era quella di preservarli dalla corruzione o, al contrario, con macchie che indicavano la decomposizione della carne in esse avvolta. In nessun caso è stato trovato qualcosa che assomigliasse lontanamente all'immagine di Torino, né sono state trovate prove, in laboratorio, che supportino la possibilità di ottenerla attraverso un contatto di questo tipo.


A titolo personale, devo confessare che, prima di approfondire lo studio della Sindone di Torino, ero disposto ad accettare la sua origine come il risultato di questo processo naturale, e il mio principale motivo di interesse era quello di ottenere informazioni storiche e archeologiche sulla crocifissione. Considero ancora di grande valore questo aspetto, che prescinde dalla spiegazione più o meno convincente di come si sia formata l'immagine, ma mi colpisce sempre di più, come fisico, incontrare qualcosa che non riesco a spiegare nell'ambito della normale attività della materia. E se non è possibile attribuire alla materia come la conosciamo ciò che effettivamente osserviamo, forse possiamo imparare qualcosa di nuovo dallo studio di questo tessuto.


2.4. Processi di origine sconosciuta

Con la metodologia che impone la ricerca di nuove cause quando quelle note si rivelano insufficienti, veniamo ora ad altre possibili spiegazioni suggerite in vari lavori da autori complementari. Non è intenzione di questo articolo chiarire i punti proposti da ogni ricercatore, per attribuire a ciascuno il merito o il demerito di ogni ipotesi, ma studiare le conseguenze delle loro teorie per trovare quella che può spiegare meglio ciò che si osserva.


Negli studi sull'immagine di Torino, soprattutto a partire dalla ricerca del 1978, è molto comune trovare la parola "radiazione" come chiave esplicativa per evitare la presenza di pigmenti, artificiali o naturali. Senza suggerire nel dettaglio come le radiazioni debbano essere prodotte da un cadavere recente in una grotta fredda e buia, si ritiene che i suoi prevedibili effetti sulla tela siano sufficienti a spiegare le caratteristiche dell'immagine.


In fisica, la radiazione è una qualsiasi forma di materia-energia che viene emessa da una sorgente e può raggiungere altri oggetti senza un contatto immediato. Si parla quindi di radiazione corpuscolare, in cui vengono emesse particelle discrete, ad esempio da materiali radioattivi, dal vento solare o dall'esplosione di una stella; tale emissione avviene in modo isotropo in assenza di qualche fattore che la incanali in direzioni privilegiate. Il loro potere di penetrazione e il loro effetto variano a seconda del tipo di particella e della sua energia: dalle particelle alfa (nuclei di elio) emesse dal radio e incapaci di passare attraverso la carta comune, ai neutrini provenienti dall'interno del Sole o da una supernova, che penetrerebbero anni luce di piombo senza quasi alcuna interazione.


Nel caso di particelle a bassa energia - poco penetranti - l'attenuazione dell'intensità nell'aria è sufficiente a suggerire che l'effetto delle particelle su una superficie, in grado di reagire al loro impatto, sarà una funzione inversa della distanza. In questo modo, si potrebbe recuperare la tridimensionalità dalla densità della macchia. Per ottenere un'immagine sufficientemente dettagliata, invece, è necessario che la radiazione sia emessa solo in fasci paralleli, che devono essere molto approssimativamente perpendicolari al corpo e alla tela per non causare distorsioni.


Non è stata proposta nessuna particella particolare come causa delle immagini, nessuna fonte di energia per la loro emissione e nessuna ragione per cui il loro comportamento dovrebbe essere quello descritto. Non sono a conoscenza di esperimenti con radiazioni corpuscolari che producano effetti di disidratazione puramente superficiale sulla cellulosa, anche se forse gli elettroni di una scarica a corona di qualche tipo, con effetti termici corrispondenti a quelli delle scintille elettriche, potrebbero causare ustioni simili in prossimità del contatto. Senza nuovi fattori che controllino il processo, non c'è spiegazione per la mancanza di immagini sui lati o sulla parte superiore della testa. Non c'è nemmeno un suggerimento sul perché l'immagine dorsale, con il panno sotto il peso del corpo, abbia le stesse caratteristiche di quella frontale. Nel complesso, l'ipotesi ci fa avanzare ben poco, anche se suggerisce un processo che non prevede l'immersione di fluidi nelle fibre o di sostanze coloranti in esse: equivale alla bruciatura del bassorilievo descritta sopra, ma senza attribuire il fatto a una tecnologia più o meno improbabile, bensì a un fenomeno misterioso che esula dalle nostre spiegazioni fisiche.


Quasi tutto ciò che è stato detto sulla radiazione corpuscolare può essere applicato alla radiazione elettromagnetica: in positivo, la sua intensità decrescente con la distanza e la capacità di incidere sulla cellulosa senza lasciare tracce se non la bruciatura della superficie (soprattutto nel caso della radiazione ultravioletta); in negativo, la mancata spiegazione di una direzionalità molto marcata e dell'assenza di immagine laterale e il fatto della somiglianza di intensità nell'impressione frontale e dorsale. Un altro fattore a sfavore: mentre un raggio corpuscolare a bassa energia può essere attenuato in modo apprezzabile da pochi centimetri di penetrazione dell'aria, le radiazioni visibili o ultraviolette in generale non lo sono, anche se le radiazioni UV o X di energia molto specifica possono essere rapidamente attenuate.


Da qui nasce un dilemma: tutte le emissioni di radiazioni avvengono o in forma sostanzialmente isotropa (lambertiana) o in fasci paralleli (collimati, anche se forse in modo imperfetto). Nel primo caso abbiamo un'attenuazione con la distanza, ma la capacità di fornire dettagli non viene mantenuta; nel secondo caso, ogni fascio del fascio ci permette di marcare un punto con dettaglio, ma l'intensità non diminuisce con la distanza. Un chiaro esempio di ciò si può vedere nel comportamento della luce emessa dalle comuni lampade, che irradiano in modo approssimativamente isotropo: su un foglio di carta non ottengo un'immagine delle lampadine, anche se posso vedere che la luminosità è maggiore quando sono più vicino. D'altra parte, un puntatore laser che emette luce collimata (un fascio praticamente parallelo) produce un punto quasi ugualmente concentrato a uno o due metri di distanza, e un gruppo di laser che formano una linea retta provoca la comparsa di una linea identica sullo schermo: il dettaglio è mantenuto, ma non c'è alcuna informazione sulla distanza. Non è possibile, secondo le leggi dell'ottica, ottenere contemporaneamente il mantenimento del dettaglio (con fasci collimati) e la perdita di intensità con la distanza (propagazione isotropa e diffusa).


Un semplice esperimento lo dimostra. Con pezzi di nastro fluorescente (che emette luce visibile se preventivamente eccitato e che viene utilizzato nei laboratori fotografici per contrassegnare, ad esempio, gli interruttori elettrici), si possono realizzare varie figure geometriche di dimensioni diverse. Dopo aver realizzato triangoli, cerchi e quadrati di un centimetro di base, si posiziona una carta fotografica sul nastro eccitato, con una pesante lastra di vetro che mantiene la carta in stretto contatto con le sorgenti luminose. Quando la carta viene sviluppata, dopo pochi secondi di esposizione, si ottiene un negativo dettagliato, in cui le forme appaiono nitidamente grigie contro lo sfondo bianco. In realtà non c'è stata propagazione della luce su nessuna distanza e non c'è perdita di dettagli o di intensità.


Ripetendo il processo con una lastra di vetro spessa poco più di un millimetro tra il nastro fluorescente e la carta fotografica, si nota immediatamente un doppio effetto: i bordi delle forme sono sfocati, l'immagine non è così scura e lo sfondo non è così bianco. La luce è diffusa in tutte le direzioni. Se la separazione è doppia (circa tre millimetri, due lastre di vetro), questa diffusione è più pronunciata e si accentua con l'aumentare della distanza, fino a rendere irriconoscibile ogni forma prima che la carta sia a 10 mm dalle strisce luminose. A questa piccola distanza, il dettaglio non è più conservato su scale centimetriche e la forma dei singoli pezzi di nastro non è più riconoscibile, anche se la disposizione generale è ancora evidente. Questo si perde anche se la distanza tra le strisce fluorescenti e la carta fotografica viene aumentata ancora un po'.


Applicando lo stesso criterio alla Sindone di Torino, è inspiegabile la presenza di dettagli molto più fini di un centimetro su porzioni del corpo che dovevano trovarsi a diversi centimetri di distanza dalla tela, come si può dedurre dalla perdita di intensità della stampa corrispondente. Non si può semplicemente parlare di una "radiazione" in senso fisico che dà luogo a effetti incompatibili con le sue leggi.


Quando la tridimensionalità dell'immagine è stata descritta nel lavoro originale di Jackson e Jumper, è stato possibile stabilire una correlazione molto precisa tra l'intensità del colore della stampa sulla tela e la distanza verticale misurata tra una tela simile e un soggetto umano in laboratorio, in posizione orizzontale e coperto dalla tela. Ma non c'è corrispondenza né di tono né di forma (senza distorsioni) se si cercano relazioni con le distanze misurate secondo la normale alla tela o alla superficie del corpo in ogni punto: solo una misurazione secondo la verticale (cioè secondo la direzione del campo gravitazionale terrestre) produce le correlazioni che permettono di recuperare la terza dimensione. Questo porta Jackson ad affermare che la gravità è un fattore determinante nel produrre le caratteristiche dell'immagine: qualcosa di totalmente inaspettato nel caso della radiazione, sia essa corpuscolare o elettromagnetica, anche nel caso di una collimazione del fascio sufficiente a mantenere la riproduzione del dettaglio. Né l'emissione di particelle radioattive né la luce sono influenzate in modo sensibile dalla gravità terrestre.


Una parte speciale dello spettro elettromagnetico è costituita dai raggi X a bassa energia. La loro produzione è stata proposta nel caso già discusso della "smaterializzazione debole", e si ipotizza che questi raggi possano aver causato la combustione della tela per formare l'immagine, direttamente o tramite l'eccitazione di vari elementi del corpo, che riemettono l'energia a diverse lunghezze d'onda. Come indicato, da un punto di vista fisico non c'è motivo di pensare che i raggi X siano emessi in un processo che consuma energia, anziché produrla. Ancora meno plausibile è il requisito di una regolazione molto fine di tale radiazione - o di qualsiasi altra radiazione - in modo che il suo effetto sia visibile all'esterno delle fibre di lino, senza alcuna penetrazione, e che la sua direzionalità sia tale da produrre contemporaneamente dettagli e informazioni tridimensionali.


Il dottor Alan Whanger sostiene che, nell'immagine di Torino, con tecniche fotografiche che aumentano il contrasto, è possibile distinguere l'immagine delle strutture ossee del viso e delle mani, nonché dei denti (analogamente a come si vedono nelle radiografie mediche). Ma questo non significa trasmissione di radiazioni (che darebbero una minore densità dell'immagine nel negativo e un corrispondente annerimento nel positivo fotografico), bensì emissione dello stesso agente sconosciuto che produce l'immagine del resto del corpo: i denti appaiono come macchie bianche, soprattutto dietro il labbro superiore.


Da quanto detto sopra si può affermare che nessun tipo di radiazione, anche di origine miracolosa, è adeguato nelle sue caratteristiche di propagazione e di energia a spiegare tutto ciò che si osserva. Non sappiamo ancora come "salvare i fenomeni" nel senso meramente descrittivo degli antichi astronomi di fronte ai movimenti planetari; ancor meno sappiamo darne una ragione. Ma questo studio ci porta a indicare una serie di requisiti e di possibili fattori da tenere in considerazione per una teoria che non contraddica i dati:


- Abbiamo escluso la colorazione da parte di fluidi organici che impregnano il tessuto per contatto.

- Escludiamo la formazione di immagini senza contatto da parte di radiazioni corpuscolari o luminose.

- È necessario un processo che avvenga sotto l'influenza della gravità terrestre.

- La modalità di formazione deve portare naturalmente a un'immagine non distorta.

- La mancanza di un'immagine laterale del busto e della testa deve essere spiegata logicamente.

- Deve essere possibile una pari intensità dell'immagine frontale e dorsale.

- L'ipotesi deve essere compatibile con l'impressione di strutture ossee interne.


Poiché l'immagine di Torino rappresenta chiaramente il cadavere di un uomo crocifisso, e poiché tra le migliaia di vittime di quella brutale esecuzione si conosce un solo caso di impronta su tela, e tutte le considerazioni di dettaglio e di tradizione indicano Gesù come l'uomo crocifisso avvolto in quella tela, è naturale mettere in relazione la presenza dell'immagine con il fatto unico della sua resurrezione, attestata da testimoni attendibili come un fatto storico su cui si basa l'intero cristianesimo. Ci si può quindi permettere una suggestione, forse azzardata, speculando sulla trasformazione che pone il corpo risorto "fuori dai limiti dello spazio e del tempo" (come dice il nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica). E questo senza che una fonte di energia esterna distrugga gli atomi del corpo, né influenzi violentemente il suo ambiente.


Non sarà possibile attribuire una causa riproducibile di un ordine fisico: la risurrezione, come la creazione dell'universo, trascende le leggi e le possibili verifiche sperimentali. Né ci si può aspettare che si attribuiscano ragioni per essere in un modo o nell'altro allo sviluppo dettagliato di come l'immagine si è formata; tutto ciò che possiamo chiedere ai nostri sforzi teorici è un "come se" newtoniano: l'immagine ha tali e tali caratteristiche come se il processo di formazione fosse avvenuto in tale e tale modo. L'unica alternativa a questo modo di procedere nello studio sarebbe quella di confessare la nostra totale incapacità di comprendere l'origine dell'immagine dal punto di vista fisico, e di rivolgerci a un evento miracoloso i cui dettagli sono nascosti nell'attività soprannaturale dell'Onnipotente.


Procedendo su questa base di voler "salvare i fenomeni", almeno qualitativamente, è di primaria importanza proporre un qualche processo controllato dalla gravità, secondo l'idea sottolineata dal dottor Jackson. Nella nostra esperienza quotidiana, solo la caduta dei corpi è qualcosa di chiaramente sotto controllo gravitazionale nel suo sviluppo dinamico, e la verticale in ogni punto è determinata dalla traiettoria dei corpi in caduta libera, senza forze laterali. L'osservazione di una dipendenza del tono dell'immagine rispetto alla distanza verticale tra tela e corpo può suggerire una caduta della Sindone nel momento in cui il corpo non si trova più nel nostro ambiente spazio-temporale e non funge più da supporto per la tela.


Se assumiamo che questa "delocalizzazione" del corpo non sia istantanea, ma avvenga in un tempo dell'ordine di un secondo, il telo può cadere di circa 5 centimetri (non si tratta di una caduta nel vuoto, ma nell'aria e con un fattore di frenata dovuto alla rigidità del telo e all'eventuale resistenza residua del corpo evanescente). Durante la caduta, la tela, prima rigonfia a causa della convessità del corpo, dovrebbe diventare sempre più piatta, con la conseguenza di consentire un'immagine per contatto successivo con le varie parti del corpo, senza distorsioni, e suggerendo che non ci sarà immagine laterale sui fianchi o sulla testa, poiché la tela tende ad allontanarsi da queste superfici. È persino possibile che strutture ossee poco profonde siano viste a contatto con la tela per un breve momento, ma solo sul davanti, poiché la tela su cui poggia il cadavere non partecipa a questa caduta, ed è l'epidermide a produrre l'immagine dorsale per semplice contatto simultaneo.


Sul davanti, invece, l'intensità dell'immagine riflette il momento del contatto: maggiore nelle parti più sporgenti del corpo, che incidono immediatamente sulla tela; minore in quelle che entrano in contatto con la tela solo quando questa cade mentre il fenomeno che provoca l'immagine sta già scomparendo. Poiché l'impressione avviene sempre per contatto immediato, abbiamo l'immagine in dettaglio; poiché la durata (e l'intensità dell'energia evanescente) è diversa in funzione della profondità, abbiamo un'intensità variabile e la possibilità di recuperare la tridimensionalità. Non c'è radiazione in senso fisico, perché non c'è emissione corpuscolare o energetica a distanza, e scompare il dilemma della combinazione di trasmissione isotropa e collimata.


Secondo questo schema esplicativo, è possibile spiegare la "radiografia" inversa che permette di vedere le ossa delle dita che si estendono nella zona carpale e persino la presenza di una sorta di ombra del pollice nascosta dietro il palmo della mano sinistra. Lo stesso si può dire della marcatura delle ossa nasali e dei denti di entrambe le mascelle. La mancanza di un'immagine identificabile come dovuta a parti più profonde dello scheletro suggerisce che il tempo di azione sulla tela è stato molto breve. E la superficialità dell'immagine implica una fonte di energia molto debole, non in grado di penetrare i fili di lino. Forse paragonabile alle scariche di elettricità statica che osserviamo sui tessuti sintetici in condizioni ambientali secche.


Uno studio più dettagliato e approfondito di tutte le caratteristiche dell'immagine e delle loro implicazioni per questa nuova ipotesi sarà senza dubbio necessario per affinare il modello esplicativo o per scartarlo se sembra incompatibile con i dati. Al momento, anche considerando che è la più probabile tra le proposte avanzate, ci sono già diversi interrogativi che richiedono un'attenta valutazione:


- Perché la delocalizzazione corporea avviene per un tempo breve, ma non istantaneo? Se si tratta di un atto miracoloso, al di fuori delle leggi della fisica, non sembra chiaro che debba avvenire in un modo che suggerisca una forza finita che agisce progressivamente.

- L'impronta della moneta sulla palpebra destra non va attribuita alla sua delocalizzazione, che non è applicabile, ma alla materia trasformata da una resurrezione del corpo precedentemente vivente. È spiegabile una simile immagine?

- Le parti più dense del corpo sembrano lasciare un'impronta più intensa. In che modo la densità (numero di particelle per volume) è in relazione con la causa dell'immagine?

- Le macchie di sangue sulla tela coprono tele dove non c'è immagine, anche se corrispondono a zone epidermiche chiaramente marcate in prossimità della macchia. Sembra quindi che l'immagine si sia formata sulla tela dall'esterno verso l'interno, e che il coagulo di sangue abbia agito come uno schermo protettivo sulla tela. In base all'ipotesi formulata sopra, questo indicherebbe che l'energia che ha colpito la tela non era sufficiente a passare attraverso un sottile strato di sangue secco. È possibile notare una variazione delle proprietà della tela che suggerisca che è stata esposta a un agente identificabile?

- Se si stabilisce senza ombra di dubbio che sulla tela ci sono altre immagini non corporee, che hanno le stesse caratteristiche dell'immagine umana che circondano, sarà ancora più difficile dare una spiegazione univoca per tutte, anche nell'ambito di ipotesi che cercano solo di essere descrittive e che permettono di ricorrere al miracolo come causa ultima.


È stato più volte sottolineato che la fisica non suggerisce alcuna ragione per il motivo dell'immagine corporea, né per qualsiasi altra che si possa trovare sulla tela e che abbia proprietà dello stesso tipo. Quello che è stato presentato in questa analisi è un processo di eliminazione delle ipotesi non accettabili, o perché insufficienti a spiegare o perché incompatibili con parte dei dati. Solo una proposta di tipo puramente qualitativo dà una congruenza sufficiente per considerarla una possibile base per ulteriori sviluppi: la caduta della parte superiore della Sindone attraverso lo spazio in cui si trovava il corpo prima della resurrezione, per cui si verifica un brevissimo contatto del telo con le strutture corporee dotato transitoriamente di una leggera energia (forse simile nei suoi effetti superficiali all'elettrostatica), mentre lo stesso fenomeno agisce senza movimento sulla parte a contatto con la schiena.


L'impossibilità di verificare direttamente l'ipotesi in laboratorio ne allontana lo studio dall'ambito propriamente scientifico, anche se esistono possibili congruenze con proprietà dell'immagine che potrebbero essere verificate in esami futuri e che darebbero nuovi motivi per accettare o respingere la proposta. Ma ogni ulteriore avanzamento nella sua intelligibilità - indicando le cause - comporterà considerazioni di ordine metafisico, sostenute da ragioni puramente teologiche il cui valore si basa su dati di fede e non su prove di ragionamento o sperimentazione. Ciò non è inaccettabile in linea di principio: se la fisica non può spiegare la vita intelligente, ancor meno può estendere il suo campo d'azione a situazioni di ordine soprannaturale.


3. Sintesi e conclusioni

L'insieme degli studi medici, archeologici, chimici e fisici indica chiaramente il collegamento diretto tra la Tela di Torino e la passione, morte e resurrezione di Cristo. Non c'è altra ragione possibile perché la tela esista, perché contenga le informazioni che raffigura, perché sia stata conservata e venerata per secoli. Il fatto innegabile che nessuno sia stato in grado di riprodurre l'immagine, né di spiegarla con un processo noto, porta inoltre a concludere che solo un evento unico nella storia può esserne la causa.


Gli esperti di usanze funerarie ebraiche o di ragioni mediche per la fuoriuscita di sangue, magari causata da una manipolazione plausibile del cadavere, possono trovarsi in disaccordo sui dettagli desunti dalla Sindone. Ma mentre le usanze e le leggi rituali possono essere considerate inapplicabili in un caso particolare di sepoltura temporanea e frettolosa, le leggi della fisica non vengono modificate da nessuna circostanza umana. Per questo ritengo che il nocciolo della questione dell'autenticità di questo oggetto unico sia l'applicazione di criteri di natura fisica al suo studio, almeno per suggerire possibili processi, sia nel senso di risolvere le discrepanze che di proporre qualche idea positiva.


A fronte dell'enorme mole di studi e di motivazioni a sostegno dell'autenticità della Sindone, c'è un solo dato discordante: la datazione con il C14. Ci sono seri indizi che non si sia tenuto conto di circostanze che avrebbero potuto portare a conclusioni errate nella determinazione della datazione, oltre a difetti metodologici. Tutto ciò è stato documentato da vari autori, anche senza implicare una mancanza di obiettività, o una frode, nel processo di misurazione. Solo una nuova serie di test, eseguiti in modo rigoroso e interpretati con tutti i fattori che potrebbero influenzare il risultato, può chiarire il problema di una datazione così incoerente. E questo deve essere fatto senza invocare ipotesi fisicamente o teologicamente infondate per suggerire che un intervento soprannaturale abbia modificato il contenuto di C 14 sulla tela in un modo del tutto "ad hoc" e logicamente fuorviante che ne mina il valore storico.


Il problema più difficile da risolvere, dal punto di vista fisico, è quello della formazione dell'immagine corporea che rende unica la tela torinese. Nessuna ipotesi di produzione artificiale è compatibile con quanto osservato; né è noto o plausibile alcun processo nel contatto di un cadavere con il telo che lo avvolge. Di conseguenza, dobbiamo accettare che un evento di ordine soprannaturale sia stato decisivo per darci l'immagine che osserviamo. Il fatto evidente è la risurrezione.


Anche all'interno di questo "modello" esplicativo (in senso scientifico, che indica un certo punto di vista) non è possibile attribuire l'immagine a nessun tipo di "smaterializzazione" che annulla letteralmente il corpo; né si può spiegare con una forma di irraggiamento nel senso normale del termine, che implica un comportamento secondo certe leggi. È invece possibile darne una descrizione, qualitativamente coerente con i dati, nell'ipotesi che la tela cada verticalmente attraverso un corpo non più localizzato, in modo che la tela sia in contatto successivo con vari livelli di struttura corporea.


La Chiesa cattolica non ha mai voluto pronunciarsi sull'autenticità della Sindone, né sulle informazioni che fornisce, e tanto meno sulla spiegazione dell'immagine: non è una questione di fede accettarla o negarla, né si deve introdurre l'aspetto religioso nello studio. È un oggetto fisico, di interesse archeologico, che va studiato come tale. Ma non dobbiamo nemmeno chiudere gli occhi di fronte alle sue implicazioni, positive o negative, rispetto alle nostre idee filosofiche e teologiche. Non dobbiamo nemmeno scusarci con la scienza se uno studio obiettivo di tutti i fatti ci porta a confessare che per spiegarlo si deve invocare qualcosa di sconosciuto all'interno dei normali processi fisici. E questo può essere un motivo in più per sostenere la testimonianza di coloro che hanno dato la vita per affermare che Cristo è risorto per opera di Dio, per non morire mai più.

La Sindone di Torino è, in questo senso, un sorprendente complemento ai racconti evangelici della Passione. È anche la traccia di un evento meraviglioso: la trasformazione di un corpo umano in qualcosa che esiste al di fuori dello spazio e del tempo.


Dopo aver detto tutto ciò che io, come fisico, considero assodato secondo il ragionamento scientifico, vorrei ora aggiungere alcune riflessioni basate sui miei studi di filosofia della natura. Niente di ciò che segue ha un'attinenza diretta con quanto è già stato presentato, ma potrebbe aprire una strada verso una comprensione più profonda del significato dell'intero concetto di resurrezione.

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